IL TRIBUNALE DI ASTI 
                           Sezione penale 
 
    Ordinanza di trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale
(Art. 23 legge n. 87/1953). 
    Nell'ambito del procedimento penale 2644/2014 r.g.n.r. sottoposto
all'attenzione di questo Giudice, i due imputati, in data  17  aprile
2014, venivano identificati dalla Polizia Giudiziaria in qualita'  di
persone sottoposte alle indagini in ordine al reato di  cui  all'art.
624 codice penale nonche' invitati ex art. 161  codice  di  procedura
penale a dichiarare o eleggere domicilio. 
    A fronte di tale invito, i due eleggevano  il  proprio  domicilio
presso il Difensore d'ufficio contestualmente nominato dalla  Polizia
procedente, stante il difetto di nomina di un difensore di fiducia. 
    In sede dibattimentale in data 29 maggio 2015, in assenza.  degli
imputati resi edotti del processo a proprio carico mediante  notifica
del decreto di citazione a  giudizio  al  solo  difensore  d'ufficio,
questo Giudice, quantunque «costretto» a procedere a mente  dell'art.
420-bis comma 2 codice di procedura penale alla  luce  della  formale
elezione di domicilio avutasi, riservava nondimeno la proposizione di
apposita questione di legittimita' costituzionale. 
    Alla stregua dei parametri di cui agli articoli 3, 21,  24,  111,
117 Cost., 14 Patto Internazionale sui diritti civili e  politici,  6
CEDU, chi scrive dubita  infatti  della  legittimita'  costituzionale
degli articoli 161 comma 1 e 163  c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non
prevedono la notifica personale dell'atto introduttivo  del  giudizio
penale, quantomeno nell'ipotesi di elezione di  domicilio  presso  il
difensore d'ufficio. 
    Ad avviso dello scrivente, l'analisi delle questione non puo' che
prendere le mosse dall'intervento legislativo di cui  alla  legge  n.
67/2014. 
    L'art. 420-bis comma 2 c.p.p., nella versione ad oggi  risultante
a seguito di  tale  intervento,  statuisce:  «Salvo  quanto  previsto
dall'art.  420-ter,  il   giudice   procede   altresi'   in   assenza
dell'imputato che nel  corso  del  procedimento  abbia  dichiarato  o
eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o  sottoposto  a
misura cautelare ovvero  abbia  nominato  un  difensore  di  fiducia,
nonche'  nel  caso  in  cui   l'imputato   assente   abbia   ricevuto
personalmente  la  notificazione  dell'avviso   dell'udienza   ovvero
risulti comunque con certezza che  lo  stesso  e'  a  conoscenza  del
procedimento o si e' volontariamente sottratto  alla  conoscenza  del
procedimento o atti del medesimo.». 
    Il  legislatore  del  2014,   nell'intento   di   conformare   la
legislazione interna ai dettami della Corte di  Strasburgo  in  punto
equo processo in absentia, ha dunque individuato  talune  fattispecie
normative ritenute  sintomatiche  di  una  conoscenza  procedimentale
idonea a legittimare il prosieguo. 
    Ci si riferisce qui, in particolare, all'espressione  legislativa
di cui all'art. 420-bis comma 2 codice di procedura  penale  relativa
«[al]l'imputato che abbia dichiarato o eletto domicilio nel corso del
procedimento». 
    La predetta espressione si  riconnette  evidentemente,  sotto  il
profilo logico-normativo, alla disposizione di cui l'art. 161 comma l
codice di procedura penale nell'ambito della quale risulta  possibile
discriminare, da una parte, ipotesi che non destano perplessita', ove
lette alla luce del novellato comma 2 dell'art. 420-bis c.p.p.: nulla
quaestio,  infatti,  ove  si  verta  nelle  ipotesi  di  elezione  di
domicilio presso il difensore di fiducia ovvero di  dichiarazione  di
domicilio seguita poi da notifica, se non personale, quantomeno  alla
stregua delle indicazioni di cui all'art. 157 c.p.p. 
    Dall'altra parte, e'  possibile  enucleare  almeno  due  ipotesi,
altamente problematiche e frequentissime  nella  prassi  giudiziaria,
che la generica espressione «che abbia dichiarato e eletto  domicilio
nel corso del procedimento» appare «trascinare» con se',  consentendo
il prosieguo del processo in absentia in  condizioni,  ad  avviso  di
questo Giudice, convenzionalmente «critiche». 
    La prima - qui non rilevante ma suscettibile di analoghi dubbi di
costituzionalita' - e' costituita dalla dichiarazione di domicilio in
un certo luogo, poi seguita da  irreperibilita'  del  dichiarante  al
primo successivo tentativo di notifica, in un contesto di difesa  non
fiduciaria.  Ipotesi  questa  che  legittima  dapprima  la   notifica
all'imputato presso il difensore  ex  art.  161  comma  4  codice  di
procedura penale e successivamente, in sede processuale, il prosieguo
del processo alla luce della richiamata espressione di  cui  all'art.
420-bis comma 2 c.p.p. 
    La seconda ipotesi, di cui qui  si  denuncia  la  criticita',  e'
costituita dall'elezione di domicilio presso il  difensore  d'ufficio
nominato dalla Polizia  Giudiziaria  all'atto  del  primo  intervento
della persona sottoposta alle indagini. 
    Nella fenomenologia giudiziaria, l'elezione - e la  dichiarazione
- di domicilio ai fini delle notificazioni  ex  art.  161  codice  di
procedura penale e' atto che ha luogo, nella totalita' dei  casi,  in
un momento di gran lunga antecedente rispetto a quello di inizio  del
processo, processo sovente tenuto a distanza di anni e talora dinanzi
ad Autorita'  Giudiziaria  diversa,  per  le  piu'  svariate  ragioni
processuali,   rispetto   a   quella   inizialmente   titolare    del
procedimento. 
    Alla stregua del  novellato  art.  420-bis  comma  2  c.p.p.,  il
legislatore del 2014 riconnette dunque all'elezione di domicilio tout
court,  l'idoneita'  a  legittimare  il  prosieguo  del   successivo,
instaurando  processo,  ritenendola  sintomatica  di  una  conoscenza
procedimentale rilevante. 
    Pur avendole questo Giudice ipotizzate in precedenti occasioni di
decisione, melius re perpensa il «sistema» non appare suscettibile di
letture   ortopediche   convenzionalmente   orientate,   atteso   che
l'espressione «che  abbia  eletto  domicilio»  e'  formula  generica,
comprensiva di tutte le ipotesi sottostanti l'istituto  dell'elezione
di domicilio. Con  la  conseguenza  che  un  eventuale  ricorso  alla
tecnica interpretativa c.d. della  dissociazione,  nel  tentativo  di
sottrarre dall'ambito applicativo dell'art. 420-bis comma 2 codice di
procedura penale talune fattispecie concrete,  costituirebbe,  forse,
operazione ermeneutica di correttezza dubbia. 
    In  definitiva,  l'espressione  scrutinata  sembra   imporre   al
Giudice, in modo inappellabile, di proseguire il  processo  a  carico
dell'imputato in presenza  di  un'elezione  di  domicilio  presso  il
Difensore d'ufficio e di successive e formalmente regolari  notifiche
all'imputato presso lo stesso dell'avviso dell'udienza. Il tutto come
esattamente avvenuto nel caso di specie. 
La violazione dell'art. 3 Cost. 
    Un preliminare apprezzamento, in punto ragionevolezza ex  art.  3
Cost., appare gia' consentito. 
    L'art. 420-bis comma 2 codice di procedura penale appare  infatti
accomunare, sotto il profilo del valore processuale, fattispecie  tra
loro assai eterogenee,  alcune  delle  quali,  al  massimo  grado  di
garanzia, hanno riguardo a ipotesi di conoscenza personale e  diretta
dell'avviso dell'udienza mentre altre - come la fattispecie in  esame
- recano teoricamente con se' l'eventualita' di  una  conoscenza  del
processo del tutto legale e fittizia. 
    In questi termini, gia' sul piano intrinseco e senza  riferimento
alcuno a  parametri  esterni,  l'elezione  di  domicilio  (presso  il
difensore d'ufficio) appare ipotesi eccentrica rispetto  alle  altre,
come ad es., in particolare, il «caso in cui l'imputato assente abbia
ricevuto personalmente la  notificazione  dell'avviso  dell'udienza».
Quest'ultima fattispecie integra infatti una  conoscenza  processuale
perfetta e l'assimilare alla stessa l'elezione di  domicilio  (presso
il difensore d'ufficio) non puo' che destare  perplessita'  in  punto
ragionevolezza. 
La violazione degli articoli 117 Cost. e 6 Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 
    Sul piano estrinseco, la distonia non  puo'  che  divenire  ancor
piu' evidente ed aggravare il gia' evidenziato pregiudizio ex art.  3
Cost. 
    Pare a chi scrive  che  l'art.  6  Convenzione  EDU,  cosi'  come
interpretato dalla relativa Corte, individui il perno logico del c.d.
diritto dell'imputato  alla  partecipazione  al  processo  non  tanto
nell'informazione  circa  accertamenti  e/o   indagini   di   polizia
giudiziaria in corso, in ordine a  scarsamente  precisate  violazioni
della legge penale bensi' nella possibilita', quanto piu' concreta ed
effettiva possibile, di avere cognizione del momento e del luogo  del
processo, ossia del vaglio  giurisdizionale  della  specifica  accusa
formulata dinanzi ad un giudice terzo e imparziale. 
    In altri termini, dal quadro CEDU e' dato  evincere,  in  termini
sufficientemente univoci, come il contenuto informativo rilevante  ai
fini di un equo  processo  in  absentia,  sia  rappresentato  da  una
dettagliata  accusa  da  una  parte  e  giorno  e  luogo  del   trial
dall'altra. E non si vede come possa essere  altrimenti,  poiche'  e'
proprio sul terreno  del  processo  che  l'interazione  dell'accusato
assume  il  massimo  valore  di  requisito  fondamentale  di  equita'
procedurale. 
    Solo quindi la cognizione effettiva di luogo, giorno  e  ora  del
processo permette poi di inferire, dalla  successiva  assenza  fisica
sulla scena, una  rinuncia  implicita  a  comparire  ai  fini  di  un
legittimo prosieguo (in ordine alla debita  informazione  della  data
del processo quale indefettibile presupposto logico per inferire  una
rinuncia implicita a comparire vd. C.edu (dec.),  Bohein  c.  Italia,
22/05/2007; C.edu (dec.),  Battisti  c.  Francia,  12/12/2006;  C.edu
(dec.), Zaratin  c.  Italia,  23/11/2006;  C.edu  (dec.),  Booker  c.
Italia, 14/09/2006; C.edu (dec.), Ivanciuc  c.  Romania,  08/09/2005;
Craxi c. Italia, 05/12/2002, §70). 
La violazione degli articoli 21 e 111 Cost. 
    Le  coordinate  di  Strasburgo  permettono  ulteriori  ordini  di
considerazioni. 
    Il primo riguarda il quantum di informazione fornito in  sede  di
invito ad eleggere il domicilio. 
    Trattasi invero di un valore informativo, in punto accusa  penale
e coordinate spazio-temporali dell'Autorita' Giudiziaria  procedente,
praticamente nullo, risolvendosi l'informazione fornita  all'indagato
nella mera indicazione dell'articolo di  legge  penale  asseritamente
violato o poco piu'. 
    Se cosi' e', appare evidente come l'informazione fornita  risulti
ben lungi dall'integrare la debita informazione  di  cui  al  diritto
pretorio CEDU, idonea a legittimare  l'inferenza  di  una  volontaria
rinuncia  a  comparire.  In  primis  poiche'  non   contiene   alcuna
coordinata del processo - ovviamente ancora  da  instaurare  -  e  in
secondo luogo poiche' l'informazione fornita  nella  prassi  corrente
appare lontana  dal  soddisfare  quella  completa  base  giuridica  e
fattuale degli  addebiti  mossi,  necessaria  ai  fini  del  ritenere
l'equita'  della  procedura  (sul  ruolo  determinante  dell'atto  di
imputazione in punto equita' della procedura. vd.  per  tutte  C.edu,
Kamasinski c. Austria, 19.12.1989, § 79). 
    Di converso, l'informazione fornita in  tal  sede  appare  invero
concretizzare quella conoscenza processuale vaga e indiretta ritenuta
insufficiente dalla  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  (C.edu,
Somogyi c. Italia, 18.05.2004, §75; C.edu, T. c. Italia,  12.10.1992,
§ 28). 
    Se il quantum informativo risulta  lontano  dai  parametri  CEDU,
residua, a parere di  questo  Giudice,  la  problematica  del  valore
ascrivibile   alla   successiva,   mancata   attivazione   da   parte
dell'imputato. 
    Una volta eletto  il  domicilio  presso  il  Difensore  d'ufficio
l'indagato/imputato assume infatti,  ex  art.  161  comma  l  c.p.p.,
l'obbligo di informare l'Autorita' Giudiziaria circa i mutamenti  del
domicilio  stesso   nonche'   l'onere   di   monitorare   attivamente
l'andamento del procedimento/processo e, cio'  che  piu'  rileva,  di
informarsi circa accusa specifica elevata a proprio carico nelle  sue
processuali coordinate spazio-temporali. 
    Appare dunque necessario stabilire  se  l'inerzia  in  tal  senso
dell'imputato  costituisca  ragion  sufficiente  per   affermare   la
rinuncia volontaria al proprio diritto a comparire e a difendersi. 
    Ad avviso di questo Giudice, se appare possibile appellarsi ad un
principio di responsabilita' ai fini del  ritenere  la  validita'  di
molteplici atti processuali notificati presso  il  domicilio  eletto,
non pare invece che la medesima conclusione  possa  ritenersi  valida
con riferimento all'atto  fondamentale  del  processo  penale,  ossia
all'atto introduttivo del processo. 
    Non   pare   infatti   consentito   attribuire   rilevanza   alla
considerazione secondo cui la notifica presso il difensore  d'ufficio
fornisce, ogni caso, un'informazione completa che l'imputato, secondo
un principio di responsabilita', sarebbe tenuto a fare propria. 
    Trattasi di una declinazione del libero arbitrio  di  pura  forma
che non tiene conto del fatto che il  contenuto  normativo  dell'art.
161 codice di  procedura  penale  e'  materia  tecnica,  per  pratici
addetti ai lavori e non  facilmente  intellegibile  dalla  stragrande
maggioranza degli imputati, spesso stranieri. Imputati che  il  reale
significato di quella disposizione ignorano, specie  con  riferimento
alla particolare implicazione  processuale  secondo  cui,  una  volta
eletto domicilio, nessun avviso personale verra' mai piu' dato. 
    Proprio questa implicazione giuridica,  di  carattere  tutt'altro
che  evidente  all'uomo  medio,  non  permette   di   superare   quel
particolare vaglio pretorio secondo cui prima di poter affermare  che
un imputato ha rinunciato per facta concludentia a uno dei diritti di
cui  all'art.  6  CEDU,  deve  essere  stabilito  che  egli   potesse
ragionevolmente prevedere le conseguenze della propria condotta  (vd.
C.edu, Zaichenko c. Russia, 18.02.2010,  §  40;  C.edu,  Panovits  c.
Cipro, 11.12.2008, §68; Talat Tunc  c.  Turchia,  27.03.2007,  §  59;
(dec.), Jones c. Regno Unito, 09.09.2003). 
    Ma cosi' non pare affatto nella fattispecie  in  analisi  poiche'
appare del tutto ragionevole, ragionando alla  stregua  dell'indagato
«medio», l'attendersi una vocatio in  ius  personale,  specie  quando
cio' avviene a  distanza  di  anni,  come  purtroppo  e'  regola  nel
panorama italiano. 
La violazione dell'art. 24 Cost. 
    Ad avviso di chi  scrive  dunque,  la  rilevanza  attribuita  dal
legislatore del 2014  alla  dichiarazione  o  elezione  di  domicilio
appare fondata su una logica -  gia'  sussistente  ante  2014  e  che
pervade l'intero sistema processuale penale -  di  obblighi  e  oneri
informativi facenti capo all'indagato/imputato. 
    Logica che, ad avviso di chi scrive, non e' affatto  giustificata
dai dati dell'ordinamento giuridico-positivo sovraordinati. 
    L'art. 111 Cost. statuisce: «la legge  assicura  che  la  persona
accusata di un reato sia, nel piu' breve tempo  possibile,  informata
riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa  elevata  a  suo
carico;». 
    L'art. 6 Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali statuisce che «In particolare
ogni accusato ha diritto di: a)  essere  informato,  nel  piu'  breve
tempo possibile,  in  una  lingua  a  lui  comprensibile  e  in  modo
dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa  formulata  a  suo
carico;». 
    L'art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e  politici
statuisce al comma  3:  «Ogni  individuo  accusato  di  un  reato  ha
diritto,  in  posizione  di  piena  uguaglianza,  come  minimo  delle
garanzie:  a)  ad  essere  informato   sollecitamente   e   in   modo
circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei
motivi dell'accusa a lui rivolta;». 
    Orbene. Quale che sia l'angolo visuale e pur nella considerazione
di tutti i significati kelsenianamente tollerabili dalle disposizioni
citate, a sommesso avviso di questo Giudice il significato risultante
dalle disposizioni richiamate e' univoco nel delineare non  un  tenue
diritto  di  informarsi  bensi'  un  assai  piu'  pregnante   diritto
all'informazione ex art. 21 Cost.,  evidente  presupposto  necessario
del diritto di difesa ex art.  24  Cost.  e  nel  pieno  solco  della
copiosa  giurisprudenza   costituzionale   sul   valore   democratico
dell'informazione latamente intesa. 
    Se di diritto all'informazione si tratta, speculare e' dunque  un
correlativo obbligo di informare in  capo  allo  Stato  in  grado  di
garantire adeguatamente e in maniera  effettiva  i  diritti  protetti
dall'art. 6 (cfr. sul punto C.edu, Artico c. Italia, 13.05/1980, § 33
e ss). 
    Quanto al modo in cui  l'imputato  deve  essere  informato  della
natura e della causa delle accuse che gli sono mosse, questo  Giudice
non ignora come la Corte europea abbia avuto occasione  di  affermare
che l'art. 6, §  3  a)  non  impone  forme  particolari  (vd.  C.edu,
Drassich c. Italia, 11.12.2007, §  34;  C.edu,  Dallos  c.  Ungheria,
1.03.2001, § 47; GC, Pelissier e Sassi c. Francia, 25.03.1999, § 53). 
    Tale affermazione appare tuttavia  quantomeno  ridimensionata  da
quella - parimenti contenuta nella giurisprudenza  di'  Strasburgo  -
secondo  la  quale  l'informazione   sull'accusa   costituisce   atto
giuridico di importanza tale da  dover  rispondere  a  condizioni  di
forma e di sostanza idonee a garantire  un  esercizio  effettivo  dei
diritti dell'imputato. 
    Con esclusione, pertanto, della sufficienza convenzionale di  una
conoscenza vaga e indiretta degli addebiti (vd. C.edu,  GC,  Sejdovic
c. Italia, 1.03.2006, §99; C.edu, Somogyi c. Italia, 18.05.2004, §75;
C.edu, T. c. Italia, 12.10.1992, § 28). 
    Chi scrive non ignora altresi' che  la  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo non vieta la notifica dell'avviso  dell'udienza  al
difensore e non anche personalmente  all'imputato.  Cionondimeno,  in
tale ipotesi occorre prestare una particolare diligenza nel  valutare
se il ricorrente abbia volontariamente rinunciato a comparire  (cosi'
vd. C.edu, Yavuz c. Austria, 27.05.2004, § 49-52.). 
    Se cosi' e' e se dunque una diligenza particolare e' gia'  dovuta
in astratto, nella fattispecie in. analisi l'inserirsi della notifica
dell'avviso di udienza presso il domicilio eletto, in un contesto  di
difesa ufficiosa - priva quindi di quel  piu'  forte  vincolo  insito
nella  difesa  fiduciaria  -  aumenta  esponenzialmente  livello   di
criticita' costituzionale e convenzionale insito  in  un'elezione  di
domicilio effettuata presso un difensore sconosciuto,  e  sovente  da
parte di persone con competenze linguistiche limitate. 
    Peraltro, la difesa tecnica assicurata da un difensore  d'ufficio
e'  stata  ripetutamente  presa  in  considerazione  dai  Giudici  di
Strasburgo, secondo i quali mentre  la  nomina  di  un  difensore  di
fiducia induce a ritenere  una  conoscenza  procedimental-processuale
sufficientemente idonea a  legittimare  il  prosieguo  -  vd.  C.edu,
Booker c. Italia 14.09.2006 - non altrettanto puo' dirsi  qualora  la
difesa sia assicurata da un difensore d'ufficio (vd.  C.edu,  Pititto
c. Italia, 12/06/2007, §§ 69-70; sull'impossibilita'  di  ritenere  i
diritti di difesa sempre e  comunque  garantiti  in  caso  di  difesa
d'ufficio vd.  altresi'  C.edu,  Campbell  e  Fell  c.  Regno  Unito,
28/06/1984, §§ 99 nonche' C.edu, Pititto  c.  Italia,  12/06/2007  §§
69-70). 
    Ma vi e' di piu'. L'avvocato  d'ufficio  -  afferma  la  Corte  -
potrebbe sempre ammalarsi, incorrere in  un  impedimento  duraturo  o
sottrarsi  ai  propri  obblighi  (vd.  C.edu,   Artico   c.   Italia,
13/05/1980, § 33); inoltre un avvocato puo'  difficilmente  assistere
il proprio cliente in assenza di contatti con quest'ultimo (cosa  che
puo' avvenire ove il difensore d'ufficio rappresenti un  imputato  di
cui si ignori il domicilio di fatto, vd. C.edu, Campbell  e  Fell  c.
Regno Unito, 28/06/1984, § 99). 
    Ne' potrebbe imputarsi al contumace ignaro del processo nei  suoi
confronti una negligenza per omissione di contattare  il  legale  che
gli e' stato assegnato (vd.  C.edu,  Celik  c.  Turchia,  23/09/2004;
(dec.) Kimmel c. Italia, 02/09/2004, relative  a  ipotesi  in  cui  i
ricorrenti erano a conoscenza della procedura  e  degli  estremi  dei
difensori). 
    D'altro canto, e a chiusura sul punto, se e' vero che il  diritto
penale rappresenta quella branca del diritto in  cui  si  discute  di
liberta' personale, ne discende,  a  parere  di  questo  Giudice,  la
stretta necessita' di un avviso, parimenti personale, di accusa, data
e luogo del processo nell'ambito del quale l'accusa  medesima  verra'
vagliata in contraddittorio. 
    Se e' consentito a questo punto  dell'argomentazione  l'esprimere
una considerazione lato sensu politica,  deve  rilevarsi  che  se  la
finalita' della legge n. 67/2014 era, oltreche' la conformazione alle
indicazione di Strasburgo, quella di evitare - mediante il meccanismo
ex art. 420-quater codice di procedura penale della  sospensione  dei
processi penali instaurati nei confronti dei c.d. fantasmi,  imputati
di  cui  si  disconosce  sorte,  ubicazione  e  sovente   le   esatte
generalita' -  un  ulteriore  appesantimento  della  gia'  affaticata
macchina processuale italiana, non puo' che constatarsi,  a  sommesso
avviso di chi scrive, il fallimento di tale obiettivo. 
    Nella prassi giudiziaria, la  mancanza  assoluta  di  (meramente)
formale  elezione  o  dichiarazione  di  domicilio   -   che   dunque
legittimerebbe, nella contemporanea assenza di altre fattispecie,  la
sospensione del  processo  -  costituisce  infatti  ipotesi  di  rara
verificazione statistica. Con la conseguenza che  imputati  di  fatto
ignari del processo a proprio carico nonche'  ubicati  chissa'  dove,
forse all'estero e forse anche deceduti - ma  che  anni  prima  hanno
formalmente dichiarato o eletto  domicilio  -  continuano  ad  essere
processati, con una conseguente e continua produzione di  titoli  con
possibilita' di esecuzione assai dubbie. 
    Le conseguenze  costituzionali  dell'argomentazione  svolta,  ove
ritenuta corretta, appaiono a chi scrive piu' che evidenti. 
    Se in  ragione  di  quanto  esposto  sussiste,  nell'ambio  della
fattispecie    «incriminata»,    una    violazione    del     diritto
all'informazione sull'accusa penale risultante dal combinato disposto
di cui agli artt. 21, 111 e 117 Cost. in relazione all'art.  6  CEDU,
il diritto di difesa ex art. 24 Cost. ne esce non  solo  pesantemente
violato bensi' annichilito in ogni  suo  aspetto,  in  modo  tale  da
ridurre a mero flatus vocis ogni prerogativa difensiva. 
    Oltre al pregiudizio del relativo nucleo essenziale  del  fornire
la  propria  versione  dei  fatti,  del   difendersi   personalmente,
dell'interrogare o  far  interrogare  i  testimoni  a  carico,  dello
scegliere un rito piuttosto che un altro, vengono  evidentemente,  di
fatto, disconosciuti tutti gli ulteriori  diritti  che  concorrono  a
delineare l'equita' convenzionale del processo penale.  Si  pensi  ad
es., a mero titolo esemplificativo, all'impossibilita' dell'Autorita'
giudiziaria di verificare  compiutamente  la  comprensione  da  parte
dell'imputato della lingua in cui  gli  addebiti  vengono  formulati,
esigenza tanto piu' pregnante quanto piu' elevata e' la gravita delle
condotte contestate (cfr. sul  punto  C.edu,  GC,  Hermi  c.  Italia,
18.10.2006, § 71). 
    Alla luce di quanto esposto, ritiene  questo  Giudice  necessario
l'intervento di questa ecc.ma Corte al fine di ricondurre il  sistema
a coerenza.